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Sindrome di Medea: quando una madre uccide i propri figli

Figlicidio, un gesto estremo che richiama sempre grande attenzione. Numeri, dati e verità di un gesto violento, epilogo di una genitorialità difficile.

Sindrome di Medea: quando una madre uccide i propri figli

Gli episodi di figlicidio sono estremamente rari, ma attirano sempre grande attenzione e suscitano molte domande. In questo articolo, verranno esaminati i dati, le realtà di un gesto tremendo ed estremo e i possibili disturbi che portano a compierlo, come la cosiddetta sindrome di Medea.

Da anni la ricerca scientifica si sta impegnando con costanza per cercare di comprendere il fenomeno del figlicidio. L’obiettivo è quello di anticipare ed evitare che accada. A questo fine, risulta importante la definizione dei profili dei genitori e il contesto in cui questo crimine viene perpetrato.

Cos’è il figlicidio? Quando si parla di infanticidio?

Con il termine figlicidio si intende il decesso di un figlio per mano di un genitore. Le statistiche e i dati indicano che questo fenomeno interessa all’incirca 5 bambini su 100 mila nati, con la precisazione che quando il delitto accade entro il primo anno di età dell’infante, si parla di infanticidio.

In Italia, negli ultimi 20 anni, si sono verificati 535 casi di figlicidio, con 340 minori uccisi dal 2000 al 2013. Il 2014 è stato l’anno più tragico con 39 casi, seguito dal 2018 con 33. Dal 2020 fino ad oggi, sono già stati registrati 31 casi.

Sebbene i numeri possano sembrare bassi, attraggono una considerevole attenzione sia da parte della stampa che del pubblico.
Che cosa sappiamo allora delle cause che si nascondono  dietro un figlicidio? Chi sono i genitori che commettono tali delitti?
In altri termini, che profili è possibile tracciare per avere un margine di previsione accettabile e utile nella prevenzione del fenomeno?

Perché si commette il figlicidio?

Le cause che possono essere alla base di questo gesto estremo sono diverse. Se si escludono le patologie mentali appena indicate, e si dà ascolto alle parole di chi ha commesso questo delitto, si riesce a raccogliere almeno quattro “cause”, o moventi:

  • maternità non desiderata, espressa con frasi quali: “Volevo sbarazzarmi di un bambino non desiderato”. Questa motivazione viene espressa nel 24% dei casi
  • attacco psicotico acuto, presente nel 21% dei casi e dichiarato con espressioni tipo: “Il demonio ha posseduto mio figlio”
  • per vendetta, nel 12% dei casi. È il caso della sindrome di Medea, quando la madre uccide il proprio figlio per colpire il partner
  • pietà, o protezione del proprio figlio dagli orrori del mondo. Viene affermato nel 25% dei casi ed è definito omicidio compassionevole.

Quando le madri si macchiano di figlicidio

Analizzando le percentuali, le madri rappresentano il 59% dei genitori che commettono un figlicidio, mentre i padri rappresentano il 41%, con un 2% che include i patrigni.

Nella maggior parte dei casi l’episodio violento accade durante il primo anno di vita del bambino, ma con una differenza: le vittime per mano materna sono statisticamente più giovani delle vittime uccise dai padri. Inoltre nel 60% dei casi il figlicidio viene seguito dal suicidio del genitore. La percentuale arriva all’86% dei casi quando a essere ucciso è più di un figlio.

Le modalità con cui le madri tolgono la vita ai propri figli possono variare. Si segnalano l’annegamento e l’avvelenamento. Anche le condizioni psicologiche possono variare, nella maggior parte dei casi le madri riescono a rimanere lucide e in una occasione su quattro cercano poi di occultare il cadavere della vittima.

Nello specifico si segnala un 50% di casi, tra mamme infanticide, di un vero e proprio disturbo clinico, come psicosi o depressione. Nel 76% dei casi le madri sono considerate non in grado di intendere e volere, e questo per un vizio di salute mentale.

Per il resto, queste madri sono poco abbienti, sono spesso giovani e single, nate in una famiglia poco accudente.

Sindrome di Medea

Il nome “Medea” è tratto dalla mitologia greca, facendo riferimento al personaggio di Medea, che uccise i suoi figli come atto di vendetta nei confronti del marito.

Secondo la definizione fornita dalla lettura di Jacobs, la sindrome di Medea ha una stretta connessione con l’alienazione genitoriale. L’alienazione genitoriale è un disturbo che si verifica principalmente in contesti di controversia per la custodia dei figli, in cui un genitore (alienatore) denigra l’altro genitore (genitore alienato) e sfrutta il bambino come strumento per farlo.

Una patologia che emerge quindi come un’estrema conseguenza di una crisi di coppia, in cui uno dei genitori utilizza il bambino come mezzo di vendetta. Questo scenario può portare a conseguenze tragiche, come l’infanticidio, quando la madre arriva al punto di uccidere il proprio figlio come parte del suo atto vendicativo.

Quando il padre è carnefice

Molto più spesso rispetto alle madri, i padri sono sotto l’effetto di sostanze stupefacenti quali alcol o droghe (42%, mentre le madri sono all’11%), e usano con maggiore frequenza un’arma da fuoco (il 27%, laddove le madri si assestano al 5%). Il figlicidio commesso dai padri tende ad avere una natura impulsiva più spesso che nelle madri (41% contro il 13%).

Nel caso dei padri, bisogna aggiungere che il movente spesso è la gelosia verso i propri figli. Si tratta di uomini che soffrono di disturbi di personalità o che abusano di alcol, oltre ad avere uno storico di condotte violente. Quando è un padre a commettere un figlicidio, solo nel 18% dei casi viene giudicato incapace di intendere e di volere.

La presenza di una vera e propria psicopatologia è rara, ma è stato definito un profilo socio-relazionale tipico: le caratteristiche sono dipendenza affettiva, mancanza di autostima, immaturità, isolamento psicologico, assenza di supporto affettivo e scarsa comunicazione con il partner.

Quali fattori causano questi gesti tremendi?

Alla base del figlicidio ci sono fattori che creano i presupposti di una instabilità psichica ed emotiva. Si possono distinguere principalmente due ordini di fattori: sociali e psicologici.

Tra i fattori sociali possono essere ricordati:

  • il contesto sociale e relazionale: uno scarso supporto sociale ricevuto dalle madri, durante la gravidanza, svolge un ruolo cruciale. Una donna che sta per diventare madre non dovrebbe essere mai lasciata da sola. Ha bisogno di accudimento e gesti amorevoli, anche quando ha difficoltà nel confidarsi e nel condividere ansie e paure di una fase della propria vita che teme di non sapere gestire
  • la povertà, poiché l’instabilità economica e i bassi guadagni su base mensile sono fattori che si ritrovano nella depressione post partum e il figlicidio
  • la giovane età e la scarsa esperienza di vita che ne consegue.

I fattori psicologici prevedono:

  • depressione o, più in generale, disturbi psichiatrici nei primi sei mesi di gravidanza (sia per le madri che per i padri)
  • stress di natura finanziaria o riconducibili a problemi di salute
  • una gravidanza non pienamente voluta né desiderata. La nascita di un bambino è un fatto che altera definitivamente la vita dei genitori, e a volte può capitare che la metabolizzazione di questo cambiamento non abbia i presupposti adeguati.

Ogni madre, inoltre, dopo il parto attraversa una serie di piccoli lutti, non sempre facili da sostenere.
Il momento della nascita comporta un distacco completo dal bambino che è stato portato in grembo per nove mesi, a cui si aggiunge l’adattamento al bambino reale, sostituendo l’immagine che la madre ha idealizzato del piccolo durante la gravidanza. La nascita del figlio può infine stravolgere la visione idealizzata che ogni madre aveva della maternità prima di partorire e la propria percezione di sé come madre.

Altri fattori di rischio

Ci sono infine altri fattori da tenere in considerazione. Il diabete in gravidanza è, per esempio, un fattore di rischio da non sottovalutare, dal momento che spesso l’equilibrio emozionale risulta minato da squilibri biologici. Prendersi cura della salute passa soprattutto dalla tavola e dalla scelta di uno stile vita adatto ai nostri bisogni psicofisici.

Anche le infezioni urinarie ricorrenti sembrano essere collegate a malesseri quali ansia e depressione patologiche. Stando ad alcune recenti teorie, la causa risiede nel nostro intestino: una cattiva alimentazione sarebbe alla base di un meccanismo infiammatorio delle mucose, e una conseguente alterazione del sistema immunitario. Tutto questo comporterebbe condizioni di depressione, ansia, irritabilità. Senza escludere infezioni topiche, di tipo genitale e urinario.

Riconoscere i sintomi

La precocità nell’intercettare ogni fattore di rischio è il passaggio chiave. Isolamento, questioni economiche, rapporto conflittuale tra i genitori, famiglia di origine anaffettiva. Tutti questi elementi possono concorrere alla creazione dei presupposti affinché uno dei due genitori si ritrovi a uccidere il proprio figlio.

Tra i sintomi a cui fare più attenzione troviamo:

  1. Aggressività nei confronti del proprio figlio, sia a livello fisico che psicologico
  2. Stato confusionale: la madre è incapace di comprendere appieno le sue azioni e le conseguenze che ne derivano
  3. Tendenze suicide: in alcuni casi estremi, la madre potrebbe manifestare tendenze suicide, risultato della profonda disperazione
  4. Impulsività
  5. Senso di solitudine: la madre potrebbe sentirsi emotivamente isolata e abbandonata, aumentando la sua connessione esclusiva con il figlio.
  6. Rabbia e frustrazione

Come fare prevenzione

Per questa ragione rivolgersi ad un professionista, per un servizio specialistico di psicologia pre e post-natale, può essere un primo passo per affrontare qualsiasi questione si frapponga tra i genitori e il benessere dei figli. O, più in generale, è possibile prenotare un primo colloquio clinico online.