Psichiatria

Prosocialità o comportamento prosociale: nasciamo buoni o cattivi?

Secondo le ultime ricerche, prima di essere condizionati dall'ambiente, nasciamo con una predisposizione "prosociale" e cioè a favorire il bene degli altri

Prosocialità o comportamento prosociale: nasciamo buoni o cattivi?

L’essere umano è per natura buono o cattivo? La domanda, che per secoli si sono posti i filosofi, da qualche tempo è al centro del dibattito scientifico e la risposta sembra propendere per una naturale “prosocialità”.

Secondo le ultime ricerche infatti i bambini sono portati per natura ad avere comportamenti cooperativi e indirizzati a favorire il benessere degli altri. Ma ciò non vale per chi nasce con una dose di empatia bassa o nulla.

Niccolò Machiavelli, nel trattato di dottrina politica Il Principe, scriveva che l’essere umano è naturalmente crudele. Al contrario Jean-Jacques Rousseau, il filosofo svizzero tra i sostenitori del mito del “buon selvaggio”, riteneva che in ogni bambino esistesse un’originaria disposizione alla bontà. Anche Voltaire si riallacciò a questa concezione sostenendo che la natura del bambino non fosse malvagia, ma lo diventasse col tempo così come il corpo diventa malato.

Tale dibattito è continuato fino ai giorni nostri e negli ultimi trent’anni nel campo della psicologia dello sviluppo molte ricerche e studi hanno contribuito con risultati empirici a cercare di rispondere alla domanda: nasciamo buoni o cattivi?

Che cosa si intende per prosocialità?

Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto precisare cosa significa “essere buoni”. In psicologia si parla di prosocialità, che è la tendenza ad agire per provocare un beneficio a vantaggio di qualcun altro.

Il comportamento prosociale comprende tutte le azioni che permettono di dare, mantenere o accrescere il benessere delle altre persone senza l’aspettativa di ricompense esterne. Ma attenzione: prosocialità non significa automaticamente altruismo.

Molti autori utilizzano i due termini come se fossero sinonimi, ma Nancy Eisenberg nel 1985 ha considerato opportuno distinguere i due concetti:

  • l’altruismo è motivato dal desiderare il “bene degli altri” anche a discapito del proprio interesse personale e prevede un “costo” per chi lo mette in atto.
  • Nella maggior parte dei casi, invece, il comportamento prosociale non è spinto da intenti altruistici: un individuo può agire in modo da portare un vantaggio a un altro e fare intanto anche il suo bene, perché agire in maniera prosociale comporta in lui stesso una soddisfazione personale.

Quali sono le competenze prosociali?

Le competenze prosociali, anche conosciute come abilità sociali o competenze sociali, si riferiscono all’insieme di comportamenti, attitudini e capacità che permettono alle persone di interagire e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo positivo, cooperativo e empatico.

Queste competenze giocano un ruolo cruciale nel favorire relazioni sane e armoniose, promuovere un clima sociale positivo e contribuire al benessere individuale e collettivo. Le competenze prosociali includono:

  • Empatia: La capacità di mettersi nei panni degli altri, comprendere le loro emozioni e prospettive e rispondere con sensibilità e compassione.
  • Comunicazione efficace: La capacità di esprimere pensieri, emozioni e bisogni in modo chiaro e rispettoso, ma anche saper ascoltare attivamente gli altri.
  • Cooperazione: La capacità di lavorare insieme agli altri in modo collaborativo, cercando soluzioni condivise e raggiungendo obiettivi comuni.
  • Condivisione e generosità: L’atteggiamento di essere disposti a condividere risorse, tempo e attenzione con gli altri senza aspettarsi nulla in cambio.
  • Rispetto e tolleranza: Mostrare rispetto per gli altri, accettando le differenze e la diversità culturale.
  • Controllo delle emozioni: Essere in grado di gestire le proprie emozioni in situazioni sociali, evitando reazioni impulsive o aggressive.
  • Gestione dei conflitti: Saper affrontare in modo costruttivo i conflitti e le divergenze di opinione, cercando soluzioni pacifiche e diplomatiche.
  • Compassione e aiuto agli altri: Mostrare un interesse genuino per il benessere degli altri e offrire supporto quando necessario.
  • Autocontrollo: La capacità di gestire il proprio comportamento e agire in modo appropriato anche sotto pressione o in situazioni stressanti.
  • Regole di comportamento sociale: Avere familiarità con le norme e le regole di comportamento socialmente accettate in diverse situazioni.

Chi ha parlato di prosocialità?

L’ipotesi che esista una tendenza naturale al contagio emotivo risale a Charles Darwin, che pensava esistesse nell’essere umano non solo una capacità innata di riconoscere le emozioni ma anche una tendenza a rispondere in modo adeguato. Il contagio emotivo è un comportamento adattivo poiché permette sia al singolo che al gruppo di reagire in modo appropriato e immediato per esempio ai pericoli.

Tuttavia, un articolo del 2004, Human Altruism: Economic, Neural, Evolutionary Perspectives, approfondisce l’altruismo umano e la cooperatività in termini di circuiti cerebrali. Il presupposto dello studio e l’ipotesi di partenza della ricerca erano: se questo tipo di comportamento è spontaneo e innato, la messa in atto di azioni prosociali dovrebbe essere supportata da meccanismi di rinforzo cerebrale. Ed è così: la ricerca ha dimostrate che la mutua cooperazione e la punizione dei disertori attivino particolari connessioni cerebrali che risultano essere gratificanti per l’individuo.

Michael Tomasello, famoso psicologo statunitense, ha dimostrato come già intorno al primo anno di vita i bambini siano collaborativi e propensi all’aiuto in moltissime situazioni.

Nell’articolo The Roots of Human Altruism, pubblicato dal British Journal of Psychology nel 2009, viene descritto un esperimento in cui lo sperimentatore faceva accidentalmente cadere una molletta sul pavimento mentre appendeva alcuni asciugamani su un filo e fingeva di non riuscire a ritrovarla. In un’altra situazione, il “compito dell’armadio”, lo sperimentatore cercava di mettere una pila di riviste in un armadio, ma non riusciva ad aprire le porte perché aveva le mani piene. I bambini mostravano comportamenti prosociali nel primo esperimento (raccoglievano la molletta e la porgevano allo sperimentatore) ma non nel secondo (non aprivano la porta), in cui il compito aveva una maggiore richiesta cognitiva e gli obiettivi erano più complessi.

Esistono bambini cattivi?

Ciò detto, la regola del comportamento prosociale innato non vale per tutti. Lo psichiatra inglese ed esperto di autismo Simon Baron-Cohen, nel libro La scienza del male – L’empatia e le origini della crudeltà, sostiene che la “cattiveria” sia in alcuni casi la conseguenza di una scarsa o nulla capacità empatica presente fin dalla nascita.

La predisposizione alla crudeltà sarebbe cioè scritta nei geni. Per chi nasce povero di empatia, quindi, è fondamentale il supporto dell’ambiente, ovvero di un’educazione che miri allo sviluppo dell’empatia e dei comportamenti prosociali.

Come promuovere comportamenti prosociali?

Le competenze prosociali sono fondamentali per il buon funzionamento delle relazioni interpersonali, la coesione sociale e la costruzione di comunità sane e resilienti. Queste competenze possono essere apprese e sviluppate nel corso della vita attraverso l’educazione, l’esperienza sociale e l’esposizione a modelli positivi di comportamento.

Inoltre, promuovere la consapevolezza e l’importanza delle competenze prosociali può contribuire a creare un ambiente favorevole alla crescita individuale e collettiva. Ecco alcune strategie e approcci da mettere in atto:

  • Sensibilizzare le persone riguardo all’importanza dei comportamenti prosociali, spiegando i benefici che possono derivare da un comportamento positivo nei confronti degli altri e della comunità.
  • Offrire modelli di comportamento prosociali attraverso role model, come leader comunitari, figure pubbliche o personaggi che si sono distinti per la loro generosità o impegno sociale.
  • Creare un ambiente inclusivo in cui tutti si sentano accettati e valorizzati, promuovendo la diversità e combattendo la discriminazione.
  • Insegnare e coltivare l’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri e comprendere le loro emozioni e punti di vista.
  • Riconoscere e premiare i comportamenti prosociali attraverso elogi, riconoscimenti pubblici o piccoli incentivi.
  • Favorire l’interazione e la partecipazione attiva delle persone nella comunità, incoraggiando il volontariato e l’impegno sociale.
  • Offrire programmi di formazione e sviluppo delle competenze prosociali, come corsi di comunicazione efficace, gestione dei conflitti e resilienza emotiva.
  • Coinvolgere i genitori nell’educazione dei figli riguardo ai comportamenti prosociali, fornendo loro strumenti e risorse per insegnare queste abilità ai propri bambini fin dalla prima infanzia.
  • Utilizzare i mezzi di comunicazione, inclusi i social media, per diffondere messaggi positivi riguardo ai comportamenti prosociali e per promuovere iniziative di aiuto e solidarietà.

Promuovere comportamenti prosociali richiede un impegno costante e una visione a lungo termine. Tuttavia, quando le persone si sentono parte di una comunità che valorizza e incoraggia il benessere degli altri, creano legami sociali più forti e relazioni più costruttive, contribuendo a una società più armoniosa e rispettosa.