Le storie

Il dolore incompreso di un aborto spontaneo

“Mancavano pochi mesi al nostro incontro, le nostre mani avrebbero potuto toccarsi” il racconto di Maria

“Mancavano pochi mesi al nostro incontro, le nostre mani avrebbero potuto toccarsi, il tuo profumo dolce e acre da lattante avrebbe inebriato le mie narici provocandomi la montata lattea e tu avresti bevuto il mio liquido bianco, caldo e pieno d’amore.
Oggi al luna park guardavo tua sorella sulla giostra volante, con i capelli al vento, il ritratto della felicità, la fotografia della vita, la sorgente del nostro amore e, fra le lacrime inghiottite, c’eri tu che mi salutavi con la manina rosa e paffutella, con i piedini penzolanti nei sandalini nuovi e mi chiamavi per farmi vedere quanto ti divertivi.
Ti vedo in ogni carrozzina, in ogni altalena, in ogni ciuccio, ti sento in tutti i vagiti che le altre mamme tentano di calmare e vorrei tanto essere al loro posto. Ti vedo dormire sereno e sazio nella culla di vimini che ho lasciato in soffitta, che doveva essere tua e che ora è piena di borse e cianfrusaglie come se fosse un vecchio cestino impolverato che non ho il coraggio di buttare.
Ti vedo sul seggiolino della macchina, andiamo tutti al mare e siamo felici come non lo saremo mai più.
Ti vedo amore mio, sei sempre nei miei pensieri e sei una spada che ha trafitto per sempre il mio cuore perché mancava davvero poco per toccare le tue manine, mancava poco.” Maria

Risponde Luca Morganti, psicoterapeuta del Centro Medico Santagostino

Maria racconta con immagini chiare e significative, a tratti poetiche, le fantasie che passano nella sua mente in seguito al trauma di un aborto spontaneo. Alla luce di queste due parole, fantasie e trauma, è possibile comprendere quanto scrive da un punto di vista psicologico.
Un elemento cruciale per la salute mentale è la capacità di lasciar fluire le emozioni, senza essere dominati da esse e senza perderle per strada. Quando siamo di fronte a emozioni così potenti in negativo, la nostra mente necessita di tempo per elaborarle: un tempo che dobbiamo poterci prendere per poter avere una efficace gestione emotiva. Nelle diverse culture, il tempo dedicato al lutto assolve proprio a questa funzione, rallentare le proprie attività per garantirsi uno spazio mentale di reazione all’evento drammatico.
Questo non cambia nel caso di un aborto spontaneo: per una madre infatti l’interruzione di una gravidanza può rappresentare un trauma non diverso dalla perdita di un figlio già nato. La differenza è che culturalmente questo evento – che nei primi tre mesi di gravidanza è molto frequente – non riceve la dovuta considerazione e spesso la madre finisce col vivere il trauma in solitudine, senza il sostegno e la comprensione dei cari.

Un elemento cruciale che rischia di compromettere una corretta elaborazione emotiva del lutto è il rimuginio, ovvero l’incapacità di staccarsi dall’evento negativo e dalla formulazione di pensieri dubitativi, per esempio “E se tu ora fossi qui? Come avrebbe potuto andare altrimenti questa vicenda?”. Questi pensieri inseriscono ulteriori problemi sulla scena mentale, per esempio interrogativi sul proprio comportamento o la percezione di un accanimento del destino nei nostri confronti. Sensazioni più che comprensibili, in grado però di aggiungere scomode dimensioni di preoccupazione e rabbia se strutturate in maniera dubitativa.
Il termine fantasia indica la facoltà della mente umana di creare immagini. In questa situazione, il pensiero per immagini può aiutare molto Maria a passare attraverso questa emozione dolorosa: non ci sono considerazioni su di sé o sul destino, solo un tentativo della mente di ricostruire ciò che manca, di completare uno scenario in cui si percepisce l’assenza di un pezzo. Nella gestione di un lutto, si tratta di una fase spesso inevitabile e sicuramente comprensibile.
Il confine sta nel possibile livello di intrusività delle immagini narrate. In questo momento sembra che Maria abbia il controllo di quelle immagini, riconoscendole in momenti specifici di vita familiare. Si potrebbe quasi immaginare che le vada a cercare e costruire per lenire il suo dolore, guardandolo in faccia e dandogli un volto. Una medicina che funziona anche perchè fa male. Se col passare del tempo invece queste immagini di mancanza dovessero essere ripetute e fuori controllo, comparendo nella mente in momenti diversi dal contesto familiare (per esempio sul lavoro, o durante la notte), ci troveremmo di fronte a pensieri intrusivi, in questo caso sotto forma di immagini. Dal punto di vista diagnostico, prima di definire un disturbo post-traumatico, è necessario il criterio dell’intrusività della durata di almeno un mese. Prima di questo tempo, l’intervento più opportuno è un supporto psicologico sotto forma di ascolto e solo in seguito eventualmente si passa a tecniche di gestione del trauma (come l’Emdr).

Riassumendo, Maria porta un dolore forte e vivido che sembra poter essere curato garantendo il tempo psicologico per gestire il lutto, accompagnato da un supporto psicologico basato sull’ascolto da parte di persone care consapevoli del dolore che si può provare per un figlio mai conosciuto ed eventualmente di professionisti. Di fronte a certi drammi, darsi tempo ci permette di dare fiducia alla nostra mente in merito alla possibilità di imparare a gestire il proprio dolore: un messaggio significativo che possiamo inviare tramite un ascolto semplice e attento, che chiunque di noi ha sperimentato poter essere decisivo in alcune fase drammatiche della propria esistenza.