Trattare l’acufene con la psicoterapia

La terapia cognitivo-comportamentale può alleviare i “suoni fantasma”

Trattare l’acufene con la psicoterapia

L’acufene è la percezione di un suono in assenza di uno stimolo acustico. Le cause sono molteplici e non sempre chiare. Oggi le ricerche confermano il ruolo di alcuni fattori psicologici nello sviluppo e nella gestione degli acufeni. La psicoterapia cognitivo-comportamentale può migliorare la qualità della vita di chi ha a che fare con questo problema.

L’acufene viene definito come la percezione soggettiva di rumori in assenza di un reale stimolo acustico esterno. Sono rumori di varia intensità, percepiti in uno o entrambe le orecchie, o all’interno della testa. Le sensazioni uditive sono descritte di solito come fischi, sibili o ronzii. Recenti studi affermano che l’acufene colpisce il 10-15 per cento della popolazione adulta. Di questi, circa uno su tre presenta disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione o effetti negativi sull’umore. Oggi, si sta cominciando a capire che i fattori psicologici hanno un ruolo rilevante nello sviluppo di questo disturbo.

Quali sono le cause dell’acufene?

La principale origine dell’acufene viene fatta risalire a lesioni di cellule sensoriali specifiche dell’orecchio interno (chiamate cellule ciliate) in seguito a un trauma acustico. Tali lesioni non modificano la sensibilità uditiva, ma possono provocare un’attivazione eccessiva delle vie uditive, cioè quelle che portano il segnale sonoro al cervello. Ciò determina la percezione di un suono in assenza di stimoli, che è, appunto, percepito come un fischio o qualcosa di simile. Altri problemi che sono stati collegati alla persistenza dell’acufene riguardano articolazioni della mandibola e lesioni al collo. Purtroppo, comunque, in una larga parte di casi (circa il 60 per cento) non è possibile individuare uno specifico fattore responsabile della loro insorgenza.

Chi è più colpito?

L’acufene sembra colpire più gli uomini che le donne. Sembra anche essere più comune negli adulti e negli anziani piuttosto che nei bambini. Inoltre, pare che la prevalenza sia più alta nei soggetti con disturbo da sintomi somatici o disturbo ipocondriaco. Nel primo si presentano sintomi legati al corpo (per esempio un dolore al braccio) senza però un riscontro organico. Il disturbo ipocondriaco consiste invece in un’importante quota di ansia rispetto alla possibilità di contrarre una malattia. Non tutte le persone con acufene sperimentano gli stessi livelli di sofferenza. La qualità della vita è influenzata in modo diverso a seconda degli individui. In effetti, sembra che le caratteristiche psicologiche del singolo giochino un ruolo importante nel mantenimento dell’acufene. In particolare, personalità ansioso-depressive e un carattere basato su scarse capacità di fronteggiare i problemi aumentano l’intensità dell’acufene. Queste caratteristiche, comunque, pur peggiorando il problema, non sembravano influenzarne le probabilità di insorgenza. Il livello di “fastidio” da acufene, dunque, sembra dipendere più dalla presenza di un disturbo psicologico concomitante che da caratteristiche organiche del sintomo stesso.

Il trattamento dell’acufene

L’acufene viene trattato con un approccio multidisciplinare e integrato. All’interno di questo, ci si avvale di tecniche psicologiche e, se necessario, anche di farmaci. Gli interventi di tipo cognitivo-comportamentale sono tra le strategie psicoterapeutiche di prima linea per far fronte agli acufeni. Un tipico percorso di terapia per il trattamento dell’acufene può durare dalle 6 alle 10 settimane con incontri a cadenza settimanale. All’interno del trattamento vengono effettuati una serie di interventi:

  • Supporto psicologico: si forniscono alla persona informazioni e consigli sul problema. La si aiuta ad abituarsi alla percezione di un suono fantasma (l’acufene), e a far fronte alle sue potenziali conseguenze, come disagio emotivo, difficoltà legate al sonno, perdita di concentrazione, e così via. L’obiettivo è aiutare le persone a comprendere il loro acufene, a correggere le false credenze e porsi obiettivi realistici durante il trattamento.
  • Terapia del suono: utile per facilitare l’abitudine agli acufeni. Si utilizzano piccoli generatori sonori (simili ad apparecchi acustici e indossati dietro l’orecchio) che riproducono suoni come onde del mare, cascate, pioggia o rumore bianco. Questi sembrano efficaci per rilassarsi, ridurre la percezione del suono fantasma e migliorare il sonno.
  • Tecniche di rilassamento come il neurobiofeedback. Dopo aver registrato per qualche minuto l’attività elettroencefalografica del paziente vengono individuati una serie di parametri quali “allerta o stress”. Tali parametri vengono convertiti in un segnale visivo o sonoro che il paziente può percepire e che deve modificare nella direzione desiderata. Quando riesce a farlo il soggetto riceve una ricompensa come l’ascolto di una musica piacevole o la visione di immagini gratificanti. In tal modo riesce a rieducare se stesso modificando volontariamente i suoi stati di attivazione corticale.
  • Ristrutturazione cognitiva di pensieri e credenze associate all’acufene. È importante lavorare per l’accettazione degli acufeni e promuovere l’idea che il disturbo non valga tutta l’attenzione che ottiene. L’obiettivo è ridurre la sensazione di avere un handicap. Si agisce quindi su pensieri, emozioni e comportamenti che provocano sofferenza.

La gestione dell’acufene cronico è impegnativa ma non impossibile. Inoltre, la crescente comprensione delle basi fisiopatologiche degli acufeni e la ricerca di sempre nuovi trattamenti offrono la speranza che migliori opzioni di cura diventino presto disponibili.