Psichiatria

L’EMDR, una terapia che funziona?

L’EMDR è un approccio che sta rivoluzionando la psicoterapia grazie a una tecnica che permette la rievocazione e la desensibilizzazione di eventi traumatici.

L’EMDR, una terapia che funziona?

La terapia EMDR, scoperta nel 1987 per pura casualità, è un metodo psicoterapico sempre più usato nei disturbi di origine traumatica, grazie a diversi studi scientifici e alle testimonianze che confermano la sua efficacia.

Si tratta di un trattamento apparentemente semplice ma nei fatti molto complesso, tanto da poter essere somministrato esclusivamente da psicoterapeuti esperti: è una stimolazione cerebrale bilaterale contemporanea alla rievocazione del trauma da parte della persona.

L’acronimo EMDR deriva dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing e può essere tradotto come desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari. Il metodo di lavoro potrebbe risultare bizzarro o poco scientifico in quanto, in una delle fasi più importanti, lo psicoterapeuta chiede al paziente di muovere gli occhi a destra e a sinistra seguendo le sue dita.

La terapia EMDR, sin dall’introduzione della tecnica circa trent’anni fa, si è diffusa in modo costante e con un andamento esponenziale. Attualmente gli psicoterapeuti che praticano l’EMDR, e i pazienti che ne hanno tratto beneficio, sono molte migliaia.

I più recenti studi in merito sono due pubblicazioni su Nature e una edizione speciale sul presente e il futuro dell’EMDR di Frontiers in Psychology, la seconda più importante rivista scientifica in ambito psicologico.

Terapia EMDR: una nascita puramente casuale

La terapia EMDR ha avuto origine nel 1987 da una scoperta felice e casuale: la psicologa Francine Shapiro, mentre passeggia in un parco, si accorge di come il movimento oculare verso destra e sinistra sembri ridurre la tensione originata da un ricordo traumatico.

Negli anni seguenti Shapiro prosegue nelle ricerche e codifica un metodo cui dà il nome di EMD (Eye Movement Desensitization), che sperimenta su alcuni reduci del Vietnam. Shapiro scopre così che i movimenti oculari desensibilizzano il soggetto rispetto ai ricordi traumatici, trasformando sensazioni ed emozioni, e in più sembrano facilitare i processi di insight, nuove consapevolezze che permettono di venire a capo degli eventi traumatici.

EMDR: la sua evoluzione

L’EMD, aggiungendo il processo di rielaborazione dei ricordi, il Reprocessing, diventa EMDR. Shapiro individua due grandi categorie di eventi traumatici su cui si più intervenire con la terapia EMDR:

  • i Traumi con la T maiuscola, che mettono a rischio vita o integrità fisica di sé o altrui. Si pensi alle calamità naturali (alluvioni, terremoti), agli incidenti gravi oppure i lutti. Questi traumi, che determinano solitamente sintomi da disturbo da stress post traumatico (evitamento, ipervigilanza, flashback, disturbi dissociativi), rispondono meglio alla terapia EMDR, anche con poche sedute
  • i traumi con la t minuscola, ovvero situazioni disturbanti e ripetute che non pongono la vita a rischio, e causano sintomi quali impulsività, disregolazione emotiva, somatizzazione o problemi di relazione importanti: i cosiddetti traumi dell’attaccamento, causati da esperienze avverse dell’infanzia. Questi disturbi, all’apparenza meno gravi, richiedono più sedute e un supplemento di interventi accanto all’EMDR

In cosa consiste la terapia EMDR?

La terapia EMDR lavora sui ricordi originati nel momento del trauma. I traumi lasciano una traccia nella mente così come nel corpo e un trigger, ovvero uno stimolo, può riattivarli. Lo stimolo può essere un suono, un odore, un pensiero.

Il ricordo traumatico, immagazzinato nella memoria in modalità non appropriate, si comporta come una ferita che non porta a termine il processo naturale di cicatrizzazione e guarigione. La ferita, allora, perde comunque sangue, e la persona prova sensazioni corporee ed emozioni che disturbano. Anche a distanza di tempo dall’evento traumatico la terapia EMDR sblocca e accelera la guarigione, fisiologica, del corpo.

Come si fa a capire se si ha un trauma psicologico?

Un evento traumatico si accompagna di solito a dei sintomi che comportano un marcato peggioramento della qualità di vita della persona che ne è colpita, tra cui:

  • il riaffiorare incontrollato di immagini e ricordi ricorrenti legati all’episodio, che portano in una certa misura a rivivere il trauma
  • un senso di continua allerta ed ipervigilanza, che può tradursi in irritabilità, esplosioni di rabbia e reazioni sproporzionate rispetto agli stimoli, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi
  • l’evitamento di persone, oggetti e luoghi correlati all’evento 
  • un calo dell’umore, che può manifestarsi con un senso di distacco ed estraniamento dalla realtà attorno a sé, pensieri e sensazioni negativi persistenti (sensi di colpa, ansia, paura, vergogna) in merito a sé stessi o al contesto circostante, e la rimozione di aspetti centrali del trauma vissuto

EDMR: come si svolge una seduta

In una seduta di EMDR sono attivati allo stesso tempo tutti i canali dell’esperienza traumatica, il percettivo, l’emotivo, il cognitivo e il somatico:

  • l’immagine traumatica, fissata più vividamente nella mente, la più disturbante
  • la cognizione negativa, i pensieri negativi autoriferiti quali “sono in pericolo”, oppure “è colpa mia”
  • le emozioni disturbanti, come paura o rabbia
  • le sensazioni fisiche

Il paziente trattiene tutti gli elementi del ricordo, e nel mentre il terapeuta stimola i movimenti oculari. Oppure attiva una stimolazione bilaterale, come il tapping, e quindi tattile. Viene quindi favorita una focalizzazione doppia: con un piede il paziente è nel passato, con l’altro è nel presente, nella sicurezza della terapia. La procedura produce una desensibilizzazione del ricordo, seduta dopo seduta sempre meno disturbante.

Il paziente può riprendere a elaborare il trauma, così da “ricollocare il passato nel passato”. La terapia EMDR, all’apparenza semplice, è in realtà una procedura piuttosto complessa. Il paziente va prima messo in sicurezza, e in contemporanea alla stimolazione è possibile che il terapeuta ricorra a interventi cognitivi integrativi, dal momento che difese e diverse parti del sé potrebbero emergere, e dovrebbero essere gestite e integrate.

Cosa succede dopo una seduta di EMDR?

Sottoporsi a una seduta di EMDR può implicare, nel post trattamento, un certo grado di stanchezza e senso di svuotamento emotivo, oltre all’eventuale, vivida ricomparsa dei ricordi legati al trauma. Si tratta di segnali che dimostrano la buona riuscita della terapia e che sono destinati ad attenuarsi. Con il tempo, infatti, i pensieri intrusivi si dissolvono, i sintomi fisici recedono, portando con sé una sensazione di serenità e la capacità di guardare con maggiore distacco al trauma subito.

EMDR: quali effetti produce nel cervello?

Su quali effetti produca nel cervello la terapia EMDR per certo non si sa, ma sono state avanzate diverse ipotesi: i movimenti oculari stimolerebbero un processo simile al sonno della fase REM (in cui accadono movimenti oculari piuttosto simili in relazione con il processamento e l’integrazione degli accadimenti nella fase di veglia).

Le stimolazioni bilaterali favorirebbero la connessione tra i due emisferi cerebrali, aiutando il recupero di memorie episodiche facilitandone l’elaborazione. Oppure, si ipotizza, permettono il distanziamento dall’esperienza traumatica, dal momento che nel focalizzarsi su di essa, l’attenzione si distrae dal compito di seguire le dita. Il riflesso di orientamento domina su tutto.

Quante sedute si fanno di EMDR?

Gli effetti della EMDR possono manifestarsi già dopo poche sedute di terapia. Solitamente, infatti, la EMDR è considerata un metodo terapeutico veloce ed efficace per affrontare i traumi: la rapidità dei risultati dipende poi dalla gravità dell’evento traumatico vissuto e dalla reazione del paziente. Ogni individuo risponde in maniera diversa al trattamento.

Per alcune persone saranno sufficienti 3-4 incontri per ottenere un miglioramento significativo. Per altri, invece, potrebbe essere necessario più tempo. 

Quanto dura una seduta di EMDR?

In genere, una seduta di EMDR ha la stessa durata di una normale seduta di psicoterapia, dunque circa 50-70 minuti. La prima seduta può protrarsi più a lungo poiché richiede la valutazione del caso del paziente e della sua idoneità al trattamento.

Chi pratica EMDR? I numeri dell’approccio EMDR

I soci dell’associazione EMDR sono, in Italia, 7000. In Europa, ovvero in 31 Paesi, sono 25.000. L’associazione è concretamente attiva negli interventi umanitari. In Italia ha fornito supporto a circa 20.000 persone nel contesto di diversi disastri collettivi quali i terremoti dell’Aquila, di Amatrice e di San Giuliano di Puglia, nel crollo del ponte Morandi. E nell’ambito di lutti traumatici: si pensi ai suicidi nelle scuole o ad attacchi terroristici.

Grazie a questi interventi e per via dell’impegno civile, sociale e umanitario, il 5 marzo del 2019 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha nominato Isabel Fernandez, presidente dell’associazione, commendatore al merito della Repubblica. Prosegue intanto la ricerca scientifica: sono stati realizzati 48 studi randomizzati, e pubblicati oltre 2500 articoli sulle riviste scientifiche.

L’EMDR in Italia e nel mondo: i risultati della ricerca

In Italia è soprattutto il gruppo di Marco Pagani, neurofisiologo del CNR, a studiare il meccanismo d’azione dell’EMDR. Sono adottate tecnologie (elettroencefalogramma, risonanza magnetica funzionale e PET) che dimostrano come la stimolazione bilaterale favorisca le onde lente (delta) tipiche del sonno. La desensibilizzazione del trauma e l’integrazione della memoria ne risulterebbero favorite: viene modificato il circuito amigdala-ippocampo-corteccia orbitofrontale. In pratica, i ricordi passerebbero dal sistema limbico alla corteccia, diventando meno disturbanti.

Uno studio coreano effettuato sui topi e pubblicato su Nature ha confermato che la stimolazione bilaterale agisce sulle comunicazioni sinaptiche tra collicolo superiore (mediatore della riduzione della paura), talamo e amigdala. La stimolazione bilaterale alternata, in buona sostanza, interferisce con l’informazione negativa fissata nelle reti neurali dell’amigdala al momento del trauma. Viene favorita la formazione di nuove reti neurali a livello del collicolo superiore e del talamo mediodorsale, che inibiscono l’attività dell’amigdala.